Legge di stabilità 2016 e persone con disabilità
Il
Senato ha approvato in via definitiva la legge di stabilità per il
2016. Come ormai di consueto ne analizziamo i contenuti con
attenzione alle novità introdotte che abbiano un impatto diretto
sulle persone con disabilità e sulle loro famiglie.
I nuovi Fondi
Il
testo della nuova legge di stabilità affronta alcune emergenze ed
alcuni fenomeni rilevanti costituendo specifici Fondi il cui impiego
– in genere – sarà poi condizionato da altrettanti decreti
applicativi e di riparto. La scelta strategica di preferire
l’istituzione di Fondi “settoriali” alla definizione di
politiche più complessive e fra loro organiche è oggetto di qualche
critica. Per contro viene replicato come siano preferibili interventi
concreti a interventi di riforma complessiva che potrebbero
necessitare anni. In realtà l’efficacia delle misure si potranno
rilevare solo nel medio periodo considerata anche la limitata
consistenza finanziaria di alcuni di questi Fondi.
Così
è, ad esempio, per il“Fondo
per la cura dei soggetti con disturbo dello spettro autistico”(art.
1, comma 401) istituito presso il Ministero della salute con una
dotazione di 5 milioni di euro. Il Fondo dovrebbe essere finalizzato
alla “compiuta attuazione” della legge 134/2015, la norma che ha
fissato“Disposizioni
in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con
disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie.”Al
tempo dell’approvazione la norma era stata criticata per l’assenza
di copertura finanziaria a fronte degli ambiziosi interventi previsti
dall’articolo 3 (garantire percorsi diagnostici, terapeutici e
assistenziali per la presa in carico di minori, adolescenti e adulti
con disturbi dello spettro autistico) che vanno dalla formazione
degli operatori, alla costituzione di specifiche équipes, al
sostegno alle famiglie, alla garanzia di strutture semiresidenziali
dedicate. Non di meno l’articolo 5 prevedeva la promozione di
progetti di ricerca riguardanti la conoscenza del disturbo dello
spettro autistico e delle buone pratiche terapeutiche ed
educative.
Per questa serie di interventi ora il Legislatore prevede un Fondo appunto di 5 milioni di euro i cui criteri e le modalità per il suo impiego saranno definiti da un successivo decreto (Salute ed Economia).
Per questa serie di interventi ora il Legislatore prevede un Fondo appunto di 5 milioni di euro i cui criteri e le modalità per il suo impiego saranno definiti da un successivo decreto (Salute ed Economia).
Il
comma 400 dell’articolo 1 predispone, invece, l’istituzione di
un Fondo presso
il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con una dotazione
di 90 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2016, “destinato
alla copertura finanziaria di interventi legislativi recanti misure
per il sostegno di persone con disabilità grave, prive di sostegno
familiare.”
Si tratta del Fondo noto per brevità per il “dopo di noi”. Come si potrà notare la definizione è piuttosto generica rispetto alla destinazione effettiva dello stanziamento che rimanda sbrigativamente a “interventi legislativi”. Dalla versione approvata è scomparso il riferimento alla condizione di “indigenza” degli interessati richiamata invece nel primo testo: rimangono invece le condizioni di “disabilità grave” e di essere“prive di sostegno familiare”. A chi conosce i paralleli lavori parlamentari su questo tema è noto come sia in discussione una specifica norma sul “dopo di noi” che ipotizza una serie di interventi di sostegno diretto, di agevolazioni fiscali (in particolare sul trust), ma anche sostegno di strutture residenziali.
Gli eventuali decreti di riparto o applicativi necessari per l’impiego del Fondo non sono al momento esplicitati.
Si tratta del Fondo noto per brevità per il “dopo di noi”. Come si potrà notare la definizione è piuttosto generica rispetto alla destinazione effettiva dello stanziamento che rimanda sbrigativamente a “interventi legislativi”. Dalla versione approvata è scomparso il riferimento alla condizione di “indigenza” degli interessati richiamata invece nel primo testo: rimangono invece le condizioni di “disabilità grave” e di essere“prive di sostegno familiare”. A chi conosce i paralleli lavori parlamentari su questo tema è noto come sia in discussione una specifica norma sul “dopo di noi” che ipotizza una serie di interventi di sostegno diretto, di agevolazioni fiscali (in particolare sul trust), ma anche sostegno di strutture residenziali.
Gli eventuali decreti di riparto o applicativi necessari per l’impiego del Fondo non sono al momento esplicitati.
Significativo
– più culturalmente che nella sua fragile sussistenza – il nuovo
sperimentale “Fondo
di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno”.
Istituito dal comma 441 (dell’articolo 1) il Fondo conta su una
dotazione di 250mila euro per il 2016 che raddoppiano nell’anno
successivo.
L’applicazione delle procedure per l’accesso ai contributi inizierà sperimentalmente in alcuni Tribunali indicati da un successivo decreto. Vediamo di cosa si tratta.
Le finalità sono rivolte al coniuge in stato di bisogno che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e “dei figli minori, oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi”, qualora non abbia ricevuto l’assegno di mantenimento per inadempienza del coniuge che vi è tenuto.
Egli può rivolgere istanza (esente contributo unificato) alla cancelleria del tribunale di residenza per l’anticipazione di una somma non superiore all’importo dell’assegno medesimo.
Il giudice, ritenute e accertate come sussistenti le motivazioni, valuta l’ammissibilità dell’istanza e la trasmette al Ministero della giustizia ai fini della corresponsione della somma. Il Ministero della giustizia si rivale sul coniuge inadempiente per il recupero delle risorse erogate. Nella sostanza provvede il Ministero ad anticipare l’assegno salvo rivalersi direttamente sul coniuge inadempiente.
L’applicazione delle procedure per l’accesso ai contributi inizierà sperimentalmente in alcuni Tribunali indicati da un successivo decreto. Vediamo di cosa si tratta.
Le finalità sono rivolte al coniuge in stato di bisogno che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e “dei figli minori, oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi”, qualora non abbia ricevuto l’assegno di mantenimento per inadempienza del coniuge che vi è tenuto.
Egli può rivolgere istanza (esente contributo unificato) alla cancelleria del tribunale di residenza per l’anticipazione di una somma non superiore all’importo dell’assegno medesimo.
Il giudice, ritenute e accertate come sussistenti le motivazioni, valuta l’ammissibilità dell’istanza e la trasmette al Ministero della giustizia ai fini della corresponsione della somma. Il Ministero della giustizia si rivale sul coniuge inadempiente per il recupero delle risorse erogate. Nella sostanza provvede il Ministero ad anticipare l’assegno salvo rivalersi direttamente sul coniuge inadempiente.
I Fondi “sociali”
Rimane
sostanzialmente stabile, rispetto all’annualità precedente, lo
stanziamento verso i cosiddetti Fondi “sociali.
Il Fondo
per le non autosufficienze,
con un incremento di 150 milioni rispetto ai 250 già previsti dalla
legge si stabilità dello scorso anno, conta su 400 milioni come nel
2015.
Stesso trend per il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali che vede un accantonamento pari a 312 milioni e 589 mila euro per il 2016 (e per i due anni a seguire).
Il riparto di entrambi i Fondi, come di consueto, sarà definito da altrettanti decreti sentite le indicazioni della Conferenza Stato Regioni.
Stesso trend per il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali che vede un accantonamento pari a 312 milioni e 589 mila euro per il 2016 (e per i due anni a seguire).
Il riparto di entrambi i Fondi, come di consueto, sarà definito da altrettanti decreti sentite le indicazioni della Conferenza Stato Regioni.
Da
ultimo confermati anche i finanziamenti per Fondo
Nazionale per il servizio civile (115,730
milioni) e per il Fondo
Nazionale Infanzia e Adolescenza (28,794
milioni)
Perde
invece 15 milioni il Fondo
per le politiche della famiglia.
vta indipendente
vta indipendente
Non
è un vero e proprio fondo, invece, lo stanziamento, limitato al
2016, previsto dal comma 406. Il Legislatore, senza fornire ulteriori
dettagli sulle modalità di attribuzione e di riparto, stanzia 5
milioni “al
fine di potenziare i progetti riguardanti misure atte a rendere
effettivamente indipendente la vita delle persone con disabilità
grave come previsto dalle disposizioni di cui alla legge 21 maggio
1998, n. 162.”
È
da supporre, quindi, un inevitabile successivo intervento normativo
rammentando tuttavia che la citata legge 162/1998, relativamente alla
“vita indipendente”, si riferisce esplicitamente alla
“(...) realizzazione
di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche
mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano
richiesta, con verifica delle prestazioni erogate e della loro
efficacia.”
Giova
ricordare che negli ultimi due anni una quota parte del Fondo per le
non autosufficienze (20 milioni totali in due anni) è stata
destinata al finanziamento di progetti sperimentali che avrebbero
dovuto essere orientati dalle Regioni proprio in direzione della vita
indipendente (come intesa dalla citata legge 162). Nell’immediato
futuro sarà quindi da comprendere se tale nuovo stanziamento
confluisca nel medesimo “capitolo” e quali siano i criteri e le
modalità di riparto, questione forse ancora più rilevante della
stessa limitata consistenza finanziaria del nuovo
stanziamento.
Altri
stanziamenti
Per
completezza la legge di stabilità prevede anche altri finanziamenti
a enti e organismi di varia natura. Fra questi segnaliamo il milione
di euro (comma 403) riservato all’Ente
Nazionale per la protezione e l’assistenza dei Sordi (Onlus) di
cui alla legge con vincolo di destinazione alla creazione e
funzionamento annuale del costituendo Centro per l’autonomia della
persona sorda (CAPS) con sede in Roma.
500
mila euro vengono riservati al Comitato italiano paralimpico “al
fine di favorire la realizzazione di progetti di integrazione dei
disabili mentali attraverso lo sport” in
particolare per il “programma
internazionale di allenamento sportivo e competizioni atletiche per
le persone, ragazzi ed adulti, con disabilità intellettiva, «Special
Olympics Italia».”
Diventa
più consistente invece il già previsto contributo in favore
della Biblioteca
italiana per i ciechi «Regina Margherita» di
Monza che viene incrementato di altri 2 milioni di euro per ciascuno
degli anni 2016, 2017 e 2018.
Più
ridotto invece il nuovo contributo alla Biblioteca
Italiana per Ipovedenti «BII
Onlus»: 100.000 euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e
2018.
Scuola e inclusione scolastica
La
legge di stabilità, complici anche notevoli pressioni di
associazioni e famiglie, torna sulla questione degli assistenti alla
comunicazione e per l’autonomia cioè di quelle figure di supporto
all’inclusione scolastica espressamente previste dalla legge
104/1992 (art. 13).
Il
loro intervento è particolarmente rilevante per gli alunni con
disabilità sensoriali ma anche per quelli con forti limitazioni
fisiche. La competenza di assicurare tali figure era affidata alle
Province fino al riordino delle loro competenze avvenuto nel 2014
(art. 1, comma 89 della legge 56 del 7 aprile 2014). Nella stesura di
quella norma l’attribuzione della competenza in parola non era ben
chiara lasciando incertezze e generando conseguenti latitanze;
secondo l’interpretazione prevalente e più logica toccava alle
Regioni assumerla e indicare le competenze in capo alle città
metropolitane e ai comuni (anche in orma associata). Alcune Regioni
hanno provveduto in tal senso, altre no lamentando peraltro la
mancata copertura dei relativi interventi.
La legge di stabilità mette un po’ di ordine fissando esplicitamente – a partire dal 1 gennaio 2016 – le competenze in capo alle Regioni, a meno che non abbiano già provveduto a normare questi aspetti e a indicare le responsabilità in capo agli enti locali.
La legge di stabilità mette un po’ di ordine fissando esplicitamente – a partire dal 1 gennaio 2016 – le competenze in capo alle Regioni, a meno che non abbiano già provveduto a normare questi aspetti e a indicare le responsabilità in capo agli enti locali.
Lo
stesso comma (il 947) stabilisce, per l’esercizio di quelle
funzioni, un contributo di 70 milioni di euro per l’anno 2016 (nel
maxi-emendamento ne erano previsti 50, aumentati di 20 in sede di
discussione alla Camera).
Si ricorda che un primo intervento economico straordinario era già stato previsto nel luglio scorso per scongiurare la “paralisi” di questi servizi che si profilava nell’imminenza dell’inizio dell’anno scolastico.
Si ricorda che un primo intervento economico straordinario era già stato previsto nel luglio scorso per scongiurare la “paralisi” di questi servizi che si profilava nell’imminenza dell’inizio dell’anno scolastico.
Nell’analisi
letterale del nuovo comma, tuttavia, non
sono ribadite le competenze relative al trasporto scolastico degli
alunni con disabilità, antica questione che si riteneva risolta.
Il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 come noto ha ridisegnato le competenze dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni rispetto alle più importanti materie: attività produttive, infrastrutture, territorio, ambiente e servizi alla persona e alla comunità. Fra questi ultimi è compresa anche l'istruzione scolastica.
L’articolo 139 precisava in modo netto quali siano i compiti e le funzioni attribuiti alle Province e quali ai Comuni. Le Province si devono occupare dell’istruzione secondaria superiore, mentre i Comuni hanno competenza sulle scuole di grado inferiore.
Fra le funzioni che Province e Comuni devono svolgere, ci sono anche “i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio”. Quindi anche il trasporto scolastico.
Il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 come noto ha ridisegnato le competenze dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni rispetto alle più importanti materie: attività produttive, infrastrutture, territorio, ambiente e servizi alla persona e alla comunità. Fra questi ultimi è compresa anche l'istruzione scolastica.
L’articolo 139 precisava in modo netto quali siano i compiti e le funzioni attribuiti alle Province e quali ai Comuni. Le Province si devono occupare dell’istruzione secondaria superiore, mentre i Comuni hanno competenza sulle scuole di grado inferiore.
Fra le funzioni che Province e Comuni devono svolgere, ci sono anche “i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio”. Quindi anche il trasporto scolastico.
Spettava
dunque alle Province il compito di provvedere al trasporto scolastico
relativo alle scuole superiori (articolo 139, Decreto Legislativo
112/1998). Spetta ai Comuni garantire il trasporto per tutti i gradi
inferiori di istruzione, scuola dell’infanzia inclusa (il
riferimento legislativo è lo stesso).
Peraltro con la Decisione 2631, depositata il 20 maggio 2008, il Consiglio di Stato ha definitivamente sancito l’obbligo (e la gratuità) del trasporto con assistenza anche alle scuole superiori a carico delle Province.
Peraltro con la Decisione 2631, depositata il 20 maggio 2008, il Consiglio di Stato ha definitivamente sancito l’obbligo (e la gratuità) del trasporto con assistenza anche alle scuole superiori a carico delle Province.
Ma,
come detto, né la legge 56 del 7 aprile 2014, né la più recente
legge di stabilità mettono esplicitamente un punto fermo su tale
aspetto, anche se lo spirito della norma e i principi costituzionali
sul diritto allo studio più volte ribaditi non possono che portare
ad equiparare i servizi previsti dall’articolo 13 della legge
104/1992 al trasporto scolastico. Quindi dovrebbero essere le
Regioni, oltre ad assumersene la responsabilità generale, a normare
la relativa gestione delle competenze.
Un
ruolo dirimente e di indirizzo in tale senso può essere svolto dai
ministeri competenti.
Povertà ed esclusione sociale
Il
ripetuto intento di affrontare l’emergenza della povertà e del
rischio di impoverimento comprovati anche dalle rilevazioni
statistiche ufficiali, trova alcuni presupposti di concretezza nella
legge di stabilità che dedica alcuni densi commi (dal 386 in poi) a
profilare contenuti e risorse destinate all’attuazione di un Piano
nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale. La
volontà sembra essere quella di ricomporre interventi già previsti
o riconducibili al contrasto alla povertà, integrandoli con
ulteriori misure in un quadro di politiche meno frammentate.
Il
Piano, triennale, dovrebbe essere adottato con decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia
e delle finanze, d’intesa con la Conferenza unificata. Il Piano
dovrebbe individuare una progressione graduale, nei
limiti delle risorse disponibili,
nel raggiungimento di livelli essenziali delle prestazioni
assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale per il
contrasto alla povertà.
Vediamo
innanzitutto le risorse previste che confluiscono in un
specifico «Fondo
per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale»:
600 milioni di euro per l’anno 2016 e di 1.000 milioni di euro a
decorrere dall’anno 2017. Le cifre riportate sono comunque
indirizzate a diverse finalità, alcune delle quali già perseguite e
finanziate da normative previgenti (che quindi confluiscono nel nuovo
fondo).
L’impiego
del Fondo è diviso in fasi. La prima riguarda il 2016.
Per
il prossimo anno 220 milioni di euro saranno destinati ad
incrementare l’autorizzazione di spesa necessaria per l’assegno
di disoccupazione. I rimanenti 380 milioni dovrebbero consolidare la
carta acquisti sperimentale garantendo in via prioritaria “interventi
per nuclei familiari in modo proporzionale al numero di figli minori
o disabili”,
tenendo conto della presenza, all’interno del nucleo familiare, di
donne in stato di gravidanza accertata. Il tutto sarà regolamentato
con decreto ministeriale.
Dal
2017 – anno in cui inizia lo stanziamento di un miliardo di euro –
è previsto un intervento ben più strutturale che da una veloce
lettura del comma 388 potrebbe non essere così evidente.
Viene prevista infatti l’introduzione di “un’unica misura nazionale di contrasto alla povertà, correlata alla differenza tra il reddito familiare del beneficiario e la soglia di povertà assoluta.”
Viene prevista infatti l’introduzione di “un’unica misura nazionale di contrasto alla povertà, correlata alla differenza tra il reddito familiare del beneficiario e la soglia di povertà assoluta.”
Ma
per raggiungere questo obiettivo è imposto il riordino della
normativa “in
materia di trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni
di natura assistenziale o comunque sottoposti alla prova dei mezzi,
anche rivolti a beneficiari residenti all’estero, nonché in
materia di accesso alle prestazioni sociali”.
A ben vedere l’obiettivo è piuttosto ambizioso e investe potenzialmente una gamma estremamente ampia di trattamenti attualmente in essere: dalla pensione sociale agli assegni familiari, ad alcune provvidenze riservate alle persone con disabilità, alle indennità per disoccupazione …Quindi le prospettive di riforma in tale ambito sono piuttosto consistenti.
A ben vedere l’obiettivo è piuttosto ambizioso e investe potenzialmente una gamma estremamente ampia di trattamenti attualmente in essere: dalla pensione sociale agli assegni familiari, ad alcune provvidenze riservate alle persone con disabilità, alle indennità per disoccupazione …Quindi le prospettive di riforma in tale ambito sono piuttosto consistenti.
Il
comma in questione non precisa il procedimento di riordino della
normativa anche se è verosimile un successivo collegato che su
questi temi attribuisca una delega al Governo per legiferare su
questa materia assai delicata
La Carta della Famiglia
Fra
gli interventi di contrasto alla povertà è istituita, dal 2016,
la Carta
della famiglia,
destinata alle famiglie costituite da cittadini italiani o da
cittadini stranieri regolarmente residenti nel territorio italiano,
con almeno tre figli minori a carico.
La
Carta, emessa dai Comuni su richiesta degli interessati, non prevede
trasferimenti monetari diretti, ma consente l’accesso a sconti
sull’acquisto di beni o servizi ovvero a riduzioni tariffarie
concessi dai soggetti pubblici o privati che intendano contribuire
all’iniziativa. I soggetti che partecipano all’iniziativa, i
quali concedono sconti o riduzioni maggiori di quelli normalmente
praticati sul mercato, “possono
valorizzare la loro partecipazione all’iniziativa a scopi
promozionali e pubblicitari”.
Negli
intenti del Legislatore la Carta famiglia nazionale dovrebbe
funzionale anche alla creazione di gruppi di acquisto familiare o
gruppi di acquisto solidale nazionali, nonché alla fruizione dei
biglietti famiglia e abbonamenti famiglia per servizi di trasporto,
culturali, sportivi, ludici, turistici e di altro tipo.
Il
Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile
I
più recenti dati ISTAT riportano la presenza in Italia di circa un
milione e mezzo di minori in stato di povertà assoluta con ciò che
ne deriva in termini di impatto sociale.
È
verosimilmente questa consapevolezza che ha spinto il Legislatore ha
profilare – sempre sperimentalmente - l’istituzione di uno
specifico“Fondo
per il contrasto della povertà educativa minorile” anche
se il relativo comma (il 392) quasi nulla dice rispetto alle concrete
finalità ai destinatari, alle modalità di erogazione le cui
definizioni sono demandate ad un successivo decreto
interministeriale. Vi saranno “progetti”valutati
e monitorati da “valutatori
indipendenti”.
A
fronte di questa incertezza definitoria, è invece ben chiara quale
dovrebbe essere l’origine delle risorse: le Fondazioni bancarie
contribuiranno con versamenti a sostegno dei progetti approvati. In
cambio otterranno un contributo in forma di credito di imposta fino
al 75% del versamento effettuato. Nella sostanza i tre quarti di ciò
che avranno versato potranno recuperarlo pagando meno imposte.
Attenzione,
però: lo Stato copre quei crediti d’imposta (per ciascuno degli
anni 2016, 2017, 2018) solo fino a 100 milioni di euro totali e
quindi potranno accedere all’agevolazione le Fondazioni che avranno
aderito per prime.
Il trasporto pubblico
L’Unione
Europea si è più volte espressa in materia di diritto al trasporto
e alla mobilità dei suoi cittadini ribadendo i principi
antiscriminatori e le soluzioni tecnico-organizzative che devono
informare il trasporto aereo, ferroviario, marittimo e lacuale oltre
che su gomma (urbano ed extraurbano).
Ad
esempio il regolamento (CE) n. 181/2011 relativo ai diritti dei
passeggeri che viaggiano in autobus, e che fissa precise indicazioni
per i passeggeri a mobilità ridotta, è e70ntrato in vigore il primo
marzo 2013. Non elencheremo in questo articolo le difficoltà e le
lacune applicative che limitano l’applicazione di quelle
disposizioni e di quelle previgenti.
In
legge di stabilità (comma 866) un intervento di natura finanziaria
potrebbe contribuire al rispetto di quelle indicazioni volte alle
pari opportunità-
Vi
viene infatti previsto che per il concorso dello Stato
al “raggiungimento
degli standard europei del parco mezzi destinato al
trasporto pubblico locale e regionale, e in particolare per
l’accessibilità per persone a mobilità ridotta”,
presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito
un Fondo finalizzato all’acquisto diretto, ovvero per il tramite di
società specializzate, nonché alla riqualificazione elettrica o al
noleggio dei mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale.
Oltre
alle risorse già previste dalla normativa vigente confluiscono nel
Fondo 210 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, 130
milioni di euro per l’anno 2021 e 90 milioni di euro per l’anno
2022.
Spetterà
al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti individuare con
decreto le modalità innovative e sperimentali, anche per garantire
l’accessibilità alle persone a mobilità ridotta
Teniamo
a rammentare che nella normativa UE in materia di trasporti la
dizione “persone
con mobilità ridotta” include
l’intera gamma delle limitazioni funzionali che possono influire
nell’accesso e nella fruizione dei servizi e dei mezzi.
La salvaguardia per gli “esodati”
La
legge di stabilità prevede anche l’ennesima salvaguardia per i
lavoratori “esodati” che, in seguito alla cosiddetta riforma
Fornero, avevano perso il lavoro nel 2011 senza al contempo contare
sui requisiti per poter andare in pensione con le nuove regole.
Si
tratta della settima salvaguardia con cui il Legislatore tenta di
porre rimedio ad un paradosso normativo. In questo caso i lavoratori
che potranno essere ammesse al beneficio sono circa 26.000, ma la
salvaguardia è differenziata per tipologia.
2000
di questi sono quei lavoratori in “congedo
per assistere figli con disabilità grave ai sensi dell’articolo
42, comma 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo
2001, n. 151”, i quali perfezionano i requisiti utili a comportare
la decorrenza del trattamento pensionistico, secondo la disciplina
vigente prima della data di entrata in vigore del citato
decreto-legge n. 201 del 2011” (riforma
Fornero), entro il sessantesimo mese successivo alla data di entrata
in vigore del medesimo decreto.
I
lavoratori interessati dovranno presentare la domanda per usufruire
della tutela entro il 1° marzo 2016.
La sanità
Sono
numerosi gli interventi in materia di salute, di Servizio Sanitario
Nazionale, di razionalizzazione della spesa, ma anche di orientamento
delle stessa.
La complessiva spesa è di 111 miliardi, una delle voci maggiori del bilancio dello Stato.
La complessiva spesa è di 111 miliardi, una delle voci maggiori del bilancio dello Stato.
Numerosi
commi (521 e seguenti) sono riservati all’efficientamento della
spesa in particolare mirando le disposizioni ai piani di rientro e
riqualificazione degli Enti del Servizio sanitario nazionale e
Aziende sanitarie. Ciò significa in particolare imporre alle Regioni
di disciplinare procedure per conseguire miglioramenti nella
produttività e nell’efficienza degli enti del Servizio sanitario
nazionale, nel rispetto dell’equilibrio economico finanziario ma
nel rispetto della garanzia dei Lea (Livelli essenziali di
assistenza). Tutti gli Enti del Servizio sanitario nazionale devono
attivare un sistema di monitoraggio delle attività assistenziali e
della loro qualità, in coerenza con il Programma nazionale
valutazione esiti. Per la prima volta viene stabilito che il mancato
rispetto di questa disposizione costituisce illecito disciplinare ed
è causa di responsabilità amministrativa del direttore generale e
del responsabile per la trasparenza e la prevenzione della
corruzione.
Altri
interventi riguardano – in particolare per le Regioni sottoposte a
piano di rientro – il riferimento a costi standard e allo
scostamento delle spese da quelle programmate.
Stringenti
divengono anche le disposizioni (commi 549 e seguenti) in materia di
acquisizione di beni e servizi degli Enti del Servizio sanitario
nazionale: gli enti del Servizio sanitario nazionale sono tenuti ad
approvvigionarsi, in via esclusiva, dalla Consip, attraverso il
meccanismo/strumento delle “centrali
di committenza”.
Nel caso queste non siano disponibili gli enti devono
approvvigionarsi avvalendosi, in via esclusiva, delle centrali di
committenza iscritte nell’elenco in un apposito elenco. L’intento
è quello di “aggregare” gli acquisti perchè siano meno costosi
e più trasparenti il tutto gestito da una unica “Cabina di regia”.
Questo è rilevante perchè riguarda una mole notevole di prodotti
fra i quali soprattutto i dispositivi medici.
Aggiornamento dei LEA
Siamo
forse ad una svolta per quanto riguarda la revisione
dei LEA cioè Livelli
essenziali dell’assistenza (commi
553 e seguenti).
Viene,
infatti, stabilito che entro sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge di stabilità si deve provvedere all’aggiornamento
del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
recante “Definizione
dei livelli essenziali di assistenza”.
L’iter
è chiaro: la definizione e l’aggiornamento dei livelli essenziali
di assistenza sono effettuati con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro della salute, di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d’intesa
con la Conferenza Stato Regioni.
Per
l’applicazione dei nuovi LEA sono riservati, per il 2016, 800
milioni a
valere sulla quota indistinta del fabbisogno sanitario standard
nazionale (cioè si prendo da Fondo Sanitario Nazionale).
Presso
il il Ministero della salute viene istituita una “Commissione
nazionale per l’aggiornamento dei Lea e la promozione
dell’appropriatezza nel Ssn” cui
viene anche affidato il compito di di valutare che l’applicazione
dei Lea sia omogenea in tutte le regioni per qualità e
prestazioni.Malattie
rare
Il
comma 409 eleva l’attuale destinazione di quota del Fondo sanitario
nazionale alla “cura
di malattie rare”:
1 a 2 milioni di euro per il 2017 e da 2 a 4 milioni di euro per
l’anno successivo.
L’aumento
è finalizzato allo svolgimento di sperimentazioni cliniche
concernenti l’impiego di medicinali per terapie avanzate a base di
cellule staminali per la cura di malattie rare. La selezione di
questi progetti sperimentali avverrà con procedura ad evidenza
pubblica coordinata dall’Agenzia italiana del farmaco e
dall’Istituto superiore di sanità anche avvalendosi nella
valutazione di esperti esterni.
Nessun commento:
Posta un commento